Tatto e contatto.
VI Domenica anno B

Dt 18,15-20; Sal 94; 1 Cor 7,32-35; Mc 1,21-28 


All'inizio della pandemia del covid 19 si diceva ne usciremo migliori…
Oggi, non ne sono così sicuro. Non solo non siamo una società migliore (abbiamo esasperato discussioni, litigi, insulti, umiliazione dell'altro…) ma abbiamo anche perso, o quasi perso, o per lo meno ridimensionato una serie di gesti: abbiamo messo da parte il senso del tatto. Lo abbiamo ridotto, lo abbiamo certamente impoverito. Oggi anche una stretta di mano viene a volte evitata, dipende un po' dal contesto e dalla situazione.
Nel Vangelo di questa domenica leggiamo di Gesù che tocca un lebbroso.
Lo ripeto: Gesù,... tocca,... un lebbroso…
È un'intesa scoperta che possiamo fare in tutto il Vangelo: Gesù tocca e si lascia toccare. Le parole che parlano del tatto e del toccare nelle varie declinazioni compaiono nei vangeli più di 30 volte.

E questo toccare non riguarda un gesto ritualizzato come quello di imporre le mani. Quello diventerà il gesto eminentemente rituale per invocare la presenza dello Spirito. Ma oltre a quello Gesù tocca gli occhi, mette le dita nelle orecchie, tocca una bara e tocca addirittura la lingua.
Gesù anche si lascia toccare, spesso, nella folla, tra i tanti che sperano di sfiorargli il mantello o il lembo del mantello o le frange del mantello. Ma non solo nella folla, anche in un atto intimo, con un che di erotico secondo alcuni, come quello della donna che a Betania gli lava i piedi con le lacrime e li unge di olio profumato. O ancora non possiamo dimenticare l'invito di Gesù risorto rivolto a Tommaso: tocca, metti la mano, assecondando la richiesta dello stesso Tommaso che sottometteva la sua fede a quei gesti.
Il corpo, nella sua concretezza, nel suo poter e dover essere toccato è il luogo di nascita della relazione. Lo capiamo dal bisogno di contatto del bambino, del neonato. È in quel stare a contatto con il corpo della mamma e del papà e anche in quell'essere lasciato senza contatto che il bambino impara a conoscere la propria identità e la relazione.
Dio non si sottrae a questo nostro modo di essere e di funzionare. Lo assume. E lo trasforma.
Tornando al lebbroso scopriamo quindi che Gesù infrange una barriera importante. Il lebbroso era intoccabile perché condannato dalla sua malattia ad un'esistenza solitaria o al massimo in una comunità di disperati come lui. Ridotto a elemosinare contatto e tatto da altri reietti. Gesù gli restituisce tutta la dignità del contatto umano ed elimina la possibilità che qualcuno per il suo peccato o per qualunque altro motivo possa essere ritenuto un intoccabile.
E questo avrà un contraltare dal lato opposto, non c'è nemmeno nulla di intoccabile dal punto di vista religioso: nulla di così sacro, così separato o separabile (questa l'etimologia) da non poter essere raggiunto con il corpo, con la concretezza del tatto. 
Nella storia del lebbroso nemmeno la parola di Gesù è intoccabile: il lebbroso non ubbidisce al suo comando «Guarda di non dire niente a nessuno» ma subito si mise a proclamare e divulgare il fatto.
Un anticipo che causa qualche problema a Gesù: non può più entrare nelle città deve rimanere fuori… anche se continua a guarire (e toccare) che gli viene portato.
Il tatto ha bisogno quindi anche di una trasformazione, che avverrà nella risurrezione. Un tatto capace di far nascere relazione, ma che non trattiene, vive la libertà, così da portare tutto a compimento.

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