Il tempio del corpo
III Domenica di Quaresima, anno B

Es 20,1-17; Sal 18; 1 Cor 1,22-25; Gv 2,13-25

Gesù che scaccia i mercanti del tempio. Di solito ci si riferisce così al Vangelo di questa domenica III di quaresima. «Non fate della casa del Padre mio un mercato». Possiamo stare a fare mille discorsi sulle reale necessità della presenza di quei mercanti al tempio. Esso per il suo funzionamento ha bisogno che qualcuno si occupi di procurare gli animali per il sacrificio (pecore e buoi, colombe,…), farina, focacce azzime, spighe di grano, olio o incenso per le offerte, il cambio della moneta civile con il siclo sacro del tempio,… Che i venditori fossero presenti nella parte esterna del tempio non era solo normale, ma necessario. Potremmo fare mille discorsi su questa necessità così come potremmo affrontare il rapporto tra Gesù e il tempio, tra il sacrificio degli agnelli pasquali e quello di Gesù sulla croce, potremmo stare ore a parlare delle profezie di Gesù sulla sua sorte, della morte e risurrezione («parlava del tempio del suo corpo»), eppure non mi sembra il punto centrale di questo brano di Vangelo.
Mi sembra che la chiave di lettura per tutto stia proprio in quel «Ma egli parlava del tempio del suo corpo» che l'evangelista sceglie di mettere all'inizio del suo racconto. Siamo al capitolo 2 di Giovanni, immediatamente dopo le nozze di Cana. Se quello è il primo ''Segno'' privato, questo è la prima manifestazione pubblica, programmatica. 
Ci viene proposto di fare il parallelo con il suo corpo e quindo con il nostro. La nostra fede non è spiritualismo. Non c'è per il cristianesimo contrapposizione tra anima e corpo, interiore ed esteriore non sono in contrasto, non è possibile prendersi cura dell'una senza curarsi anche dell'altro. Dell'importanza del corpo possiamo capire già a partire dall'incarnazione. Dio sceglie di vivere da uomo completo, con un corpo. Tanto che lo stesso evangelista che scrive questo brano, nel suo prologo sottolinea la carnalità di quella scelta di Dio («Il verbo si fece carne»). Non per nulla nell'Eucaristia ci nutriamo del suo corpo. Gesù sceglie le espressioni di «mio corpo» e «mio sangue», pur nel contesto ebraico che non conosce l'astrazione, per dare una concretezza straordinaria alla sua presenza in mezzo a noi anche dopo la risurrezione e l'ascensione. Con questo racconto l'evangelista Giovanni ci sta dicendo che il tempio di Dio vero è il corpo di Gesù, Paolo poi sottolinea che è un corpo crocifisso (e risorto).
Allora anche il nostro corpo diventa non insignificante, ma centrale per l'esperienza di vita e l'esperienza di fede. E anche il brano della ''purificazione del tempio'' può essere traslato in questa direzione. Se è vero che per il funzionamento del tempio alcuni mercanti apparivano necessari eppure Gesù li scaccia, anche per la nostra vita in questo mondo alcune cose appaiono buone o anche necessarie eppure Gesù ci chiede di rinunciarvi. Gesù ci chiede di non fare del tempio che è il nostro corpo un mercato.
C'è allora qualcosa nella concretezza, anche carnale, della nostra vita qualcosa che va scacciato, qualcosa che va riordinato, qualcosa che deve e dovrà essere trasformato, ricostruito.
La quaresima ci spinga a un vero rinnovamento, non tanto nei sogni, negli ideali, nelle speranze, ma nelle scelte concrete della vita, quelle che coinvolgono tutto il nostro essere: mente, cuore, spirito, anima e corpo, conoscenze e decisioni. Senza paura che qualcuno possa distruggere qualcosa, sarà Cristo con la sua risurrezione a ricostruire in noi il suo tempio.

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