"La Chiesa prega per le persone che hanno attentato alla loro vita" (CCC 2283)
"La Chiesa prega per le persone che hanno attentato alla loro vita". (Catechismo della Chiesa Cattolica, N. 2283)
Nel giro di pochi mesi a poco distanza geografica da dove vivo, due giovani confratelli sacerdoti si sono tolti la vita. Non li conoscevo personalmente, né conosco le intime motivazioni che li hanno portati a un gesto così irreversibile.
Sono spinto a scrivere queste righe di fronte alle decine di post, articoli, prese di posizione che ho letto in questi ultimi giorni, scaturite dalla penna di laici, preti e anche vescovi e cardinali. Mi guida proprio la frase del titolo e che ho semplicemente citato dal numero 2283 del Catechismo della Chiesa Cattolica: per chi ha preso la drammatica decisione di togliersi la vita noi cristiani preghiamo perché nella sua misericordia, attraverso le vie che egli solo conosce, Dio prepari la salvezza.
Ciascuno è responsabile della propria vita davanti a Dio che gliel'ha donata.
Il suicidio è gravemente contrario al giusto amore di sé.
È un'offesa all'amore del prossimo, perché spezza ingiustamente i legami.
È contrario
all'amore del Dio vivente. (Cf. CCC 2280-2281)
Togliersi la vita è un gesto che lacera la comunione e la comunità, non può essere banalizzato e soprattutto non può essere "canonizzato". Sono lecite e forse doverose le riflessioni ecclesiali su mancanze, disattenzioni, superficialità nelle relazioni di aiuto e sostegno ma non possono da sole esaurire la comprensione del gesto che è e resta una scelta, attiva, personale e come tale ha una componente etica e morale rilevante. Il suicidio, anche quando scelto e messo in atto da un prete, resta una atto grave, un attentato alla vita e come tale da affidare alla misericordia di Dio come qualunque altro peccato, non un gesto da scusare, giustificare e finanche benedire. In alcuni post o articoli sembra invece di leggere proprio questo. In essi si immagina che ora questi confratelli sono "finalmente" nell'abbraccio del Padre. Di queste riflessioni mi spaventa che possano diventare la scusa per una "via d'uscita": se basta togliersi la vita per raggiungere finalmente "l'abbraccio del Padre"...
Ma più di tutti mi ha spaventato la riflessione di un'omelia di una Messa in suffragio, nella quale il celebrante si rivolge al confratello chiedendo di "intercedere presso Dio". L'intercessione si chiede ai santi, ai beati, ai "venerabili", ai "servi di Dio", la nostra stessa preghiera può essere di intercessione. Ma non la possiamo chiedere, ora, a qualcuno che si è separato dalla vita con un gesto estremo.
A questi confratelli la cui sofferenza ci è sconosciuta, inspiegabile, possiamo e dobbiamo volere bene, pregando per loro non chiedendo loro di pregare per noi. Siamo noi a dover pregare per loro e per chi è sfiorato da pensieri simili, perché nel mistero della psiche umana possa intervenire la Grazia.
Nei confronti di don Paolo e di don Matteo, delle loro storie, di tutte le persone che gli hanno voluto bene, di tutti i giovani che incontravano, di tutti i preti e laici abbiamo il dovere della verità e, liberi in essa, abbiamo il dovere della preghiera. E mi sento di pensare anche che loro stessi, don Paolo e don Matteo, ora ci chiedono di pregare per loro, forse non l'abbiamo fatto prima, facciamolo ora. Non è la disperazione che porta in Paradiso… ma l'amore. E in questo momento il gesto più vero e grande di amore che possiamo fare per loro, è proprio la preghiera.
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