Re-impariamo ad attendere
I Domenica di avvento, anno B

Is 63,16-64,7; Sal 79; 1 Cor 1,3-9; Mc 13,33-37

"L'attesa attenua le passioni mediocri e aumenta quelle più grandi".
François de La Rochefoucauld

"Fate attenzione, vegliate..."
"Vegliate dunque..."
"Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!"
State svegli, state attenti, state pronti, aspettate.
Restare svegli.
Dorme chi non ha nulla da attendere. Veglia chi è agitato da qualcosa. In positivo o in negativo. Veglia chi ha paura.Di un attacco, di perdere qualcosa, di venire sorpreso. Veglia chi aspetta qualcuno, qualcosa, un avvenimento con una positiva impazienza, con desiderio, con speranza, con tante attese. L'attesa, il tempo dell'attesa, può diventare quasi più importante della sua realizzazione. Essa è sicuramente più ricca di sfumature e soddisfazione se c'è stata attesa e questa è stata intensa.
Noi oggi cosa aspettiamo? Il Natale? L'ambiente che si crea con tutte le luci nel buio, gli alberi i presepi? I regali, il pranzo? La giornata in famiglia? Ricordare la nascita di Gesù? Nulla di negativo in tutto questo, ma forse questa attesa "sociale", civile un po' ci distrae dalla vera attesa a cui l'avvento ci richiama.
Secondo Paolo (1Cor) dovremmo aspettare "la manifestazione del Signore Nostro Gesù Cristo".
Attendiamo (e desideriamo?) che si renda presente, che si faccia vedere. Come può farsi vedere? Non aspettiamo nessuna nascita visto che essa è già avvenuta. Non aspettiamo certo nessuna nascita esteriore, ma potremmo parlare di una nascita interiore, Gesù che nasce, rinasce, ancora una volta, sempre in e per ciascuno di noi.
Ma siamo confrontati con la stessa esperienza narrata dal profeta Isaia: un silenzio incomprensibile di Dio. "Perché ci lasci stare lontani? se ti mostrassi con forza cambierebbe tutto" sembra dire il profeta nella sua supplica. Ed è lecito per noi chiederci, proprio come fa il profeta, se questo silenzio sia dovuto ad una rabbia di Dio nei nostri confronti, per qualcosa che abbiamo fatto o che stiamo facendo.Isaia però sembra suggerire che il silenzio sia la via scelta da Dio per provocare la conversione, per farci iniziare l'attesa, vigile, attenta, sveglia. Per tornare da lui.
Gesù parla ai discepoli e li invita a vegliare
Nel Vangelo di oggi però non siamo noi, non sono i discepoli (o i servi) a tornare, è il padrone che se ne va, lasciando tutto in mano ai suoi servi, in modi diversi, a ciascuno il suo compito.
Come il padrone, Dio mette il mondo intero nelle nostre mani. A qualcuno in particolare (il portiere della parabola) chiede di vegliare, di restare sveglio, di attenderlo. Questi "portieri", sembra intendere Gesù, siamo noi suoi discepoli, con il dovere di stare svegli, di aspettarlo, per accoglierlo, per annunciare a tutti il suo ritorno affinché ciascuno nelle sue mansioni sia pronto all'accoglienza.
Ecco il nostro compito: annunciare un ritorno, non solo quello escatologico ma anche, e forse soprattutto, il suo nascere e rinascere quotidianamente in noi e attraverso di noi.
Vegliare è allora evitare di lasciarci travolgere da ciò che ci circonda, senza fuggire dal mondo ma imparando a leggerlo alla luce del Vangelo e diventando annunciatori della presenza di Dio in questa vita. Una vita che, se Lui stesso l'ha scelta, non può essere che buona.
E se crediamo che Dio stia in silenzio, possiamo farci noi voce.
Voce che "grida". Come lo è stato Giovanni il battista che ci accompagnerà nella II Domenica di avvento.




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