Dio è una casa per noi
IV Domenica di avvento, anno B
2 Sam 7,1-5.8b-12.14a.16; Sal 88; Rm 16,25-27; Lc 1,26-38
Attendere vigilando, preparare annunciando, mostrare nascondendosi.
Sono le coppie di verbi che scelgo per riassumere il percorso fin qui fatto attraverso le domeniche di avvento.
Attendiamo Gesù e la sua manifestazione, prepariamo noi stessi per la sua venuta e prepariamo gli altri annunciandolo e mostrando la sua presenza nascosta in mezzo a noi, senza sostituirci a Lui. Perché, come sentiamo dal profeta Natan che parla al re Davide, non saremo noi a fare una casa a Dio, ma è il Signore ad annunciare che farà una casa, una famiglia, una discendenza per noi.
Attendiamo Gesù e la sua manifestazione, prepariamo noi stessi per la sua venuta e prepariamo gli altri annunciandolo e mostrando la sua presenza nascosta in mezzo a noi, senza sostituirci a Lui. Perché, come sentiamo dal profeta Natan che parla al re Davide, non saremo noi a fare una casa a Dio, ma è il Signore ad annunciare che farà una casa, una famiglia, una discendenza per noi.
Dio promette a Davide un discendente speciale, un figlio per cui Dio stesso sarà padre. Una promessa, un'attesa sempre forte in Israele, compiutasi in quell'annuncio dell'angelo a Maria che ascoltiamo nel Vangelo di oggi.
Un figlio che può essere solo opera di Dio, non nostra. Frutto dell'amore di Dio e non di quello (pur santo) tra un uomo e una donna. Un figlio speciale che è, lui stesso, quella "casa" promessa nell'antichità.
Gesù, più che aver bisogno di una casa che noi gli possiamo fare e preparare (come raccontiamo spesso ai bambini), si rivela essere Lui stesso una casa per noi.
È l'Emmanuele, Dio-con-noi, è Gesù, Dio-salva, è la discendenza promessa a Davide, è Lui stesso una vera casa per noi.
Se il tema del "Dio-con-noi" è più tipico dell'evangelista Matteo, Luca punta molto sulla salvezza di cui Gesù è portatore. Non quella salvezza dall'invasore e dall'oppressore "politico" che Israele si aspettava. Un invasore che si fa chiamare egli stesso "salvatore del mondo" (i monumenti a Cesare Augusto lo definiscono tale). In questo contesto la salvezza che porta Gesù è ben diversa, diventa insieme "guarigione" (che ha sempre anche un riscontro esteriore) dalla malattia interiore e spirituale che è il peccato. La salvezza portata da Gesù sarà riconosciuta anche sotto la croce, nella forma dello scherno di uno dei due crocifissi con Lui: "ha salvato gli altri salvi sé stesso, se è lui il Cristo di Dio, l'eletto" (Lc 23,35). Questa salvezza è dichiarata spesso entrare nella casa di qualcuno quando Gesù vi è presente. Nell'evangelista Giovanni diventa importante il "dimorare", Dio desidera abitare con "i suoi" ma questi non lo accolgono (Gv 1,11), i discepoli saranno poi invitati a dimorare presso di Lui, con Lui e alla fine in Lui.
Questa esperienza di casa in Gesù è importante oggi, in questo tempo in cui non tutti sanno chiamare davvero un posto "casa", chi perché per lavoro è costretto o abituato a vivere negli alberghi del mondo, chi perché a causa di conflitti è stato reso profugo senzatetto. È un contesto che richiede una casa solida di altro tipo, altre radici forti che si situano in quell'albero di Iesse di cui Gesù è il germoglio atteso.
Questo avvento ci ha richiamato ad aspettare, preparare, costruire, ma i testi di questa IV domenica ci ricordano che questo nostro agire può essere solo in risposta ad una prima iniziativa gratuita di Dio. Dio agisce, noi siamo chiamati a collaborare, i profeti annunciano, Giovanni mostra, Maria dice un "sì" coraggioso.
Anche noi vogliamo annunciare, mostrare, accogliere. Non in una mangiatoia, ma nella vita concreta.
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